FONTE: GruppoSanDonato
Si fa un gran parlare dei risvolti negativi che possono essere lasciati in eredità dal Covid-19 e, troppo spesso, si tende purtroppo ad enfatizzarne gli effetti suscitando inevitabilmente apprensione. Di recente si è dibattuto di un disturbo chiamato la ‘nebbia cognitiva’, una conseguenza di carattere neurologico che, stando agli studi più recenti, colpisce 1 persona su 20 provocando qualche contraccolpo sulle nostre capacità mentali.
I sintomi più ricorrenti
I sintomi più frequenti riconducibili alla ‘nebbia cerebrale’ sono:
- stanchezza cognitiva
- difficoltà a concentrarsi e a ricordarsi le cose
- disorientamento e confusione mentale.
Questo disturbo pare colpire, sia pur con entità variabile, coloro i quali hanno dovuto fare i conti con il Covid-19, non necessariamente in forma grave. L’aspetto più caratteristico riferito da alcune persone interessate da questo fenomeno, che lo ricordiamo colpisce indistintamente anziani e giovani, è il senso di sopraffazione rispetto ad una lucidità mentale che è venuta un po’ a mancare.
Cosa affermano gli studi condotti a riguardo
Gli studi recenti condotti a questo proposito hanno evidenziato come si tratti del quarto sintomo più comune tra i 101 sintomi fisici, neurologici e psicologici a lungo e a breve termine riportati dai pazienti sopravvissuti al coronavirus.
Strascichi mentali e cognitivi per certi versi sovrapponibili a quelli causati da altre infezioni estremamente comuni come, per esempio, la mononucleosi o i virus dell’herpes.
La teoria più accreditata è che la causa di questa nebbia neurologica sia riconducibile agli effetti della risposta immunitaria causata dal virus che, a sua volta, può far insorgere un’infiammazione dei vasi sanguigni che portano al cervello.
Quanto dura la nebbia cognitiva
Al di là dell’entità dei sintomi con cui si accompagna questa sindrome, comunque, è bene specificare come produca effetti transitori e limitati nel tempo. Nella peggiore delle ipotesi potrebbero volerci mesi ma, in ogni caso, tendono a risolversi spontaneamente.
Il parere dell’esperto
“A mio avviso – ci ha spiegato il Dott. Giorgio Dalla Volta, Responsabile dell’U.O. di Neurologia dell’Istituto Clinico Città di Brescia – piuttosto che cercare di suscitare clamore mediatico, bisognerebbe riportare le notizie in maniera più equilibrata.
L’eventuale aumento del valore di due proteine, la Gfap (proteina acida fibrillare gliale) e la Nfl (proteina della catena leggera del neurofilamento), due indicatori sensibili al danneggiamento delle cellule neurologiche, non significa avere danni cerebrali, come lo intendono i pazienti e come riportano alcuni media, ma solo che potrebbe esserci un interessamento del cervello (tra l’altro forse solo secondario) in risposta all’attivazione del sistema immunitario.
Avere mal di testa o percepire un diffuso senso di debolezza – ha concluso lo specialista – non vuol dire necessariamente soffrire di un’encefalite. Sono solo i sintomi di una malattia in atto”.